Che mondo sarebbe senza le e-mail?
Ricordate la pubblicità della celebre crema spalmabile?
Beh, mentre posso tristemente immaginare cosa sarebbe per me il mondo senza la famosa merenda, faccio veramente fatica a pensare ad una dimensione lavorativa senza lo scambio di e mail.
Che vada però assolutamente rivisto l’utilizzo che facciamo della posta elettronica e la percentuale di tempo che gli dedichiamo durante la giornata è lampante ed urgente.
Naturalmente non può essere in discussione il mezzo in quanto tale, ma il modo di lavorare che il medium ha introdotto.
Per questo ho scelto di dedicare a questo prezioso strumento di comunicazione le riflessioni del mese di ottobre.
Sicuramente sono partita da un’insofferenza che maturavo da anni nei confronti delle mail, ma solo dopo aver letto il testo di Cal Newport “Un mondo senza mail” sono riuscita a focalizzare bene il problema e vedere dall’esterno la nociva eredità che errate consuetudini di anni di lavoro in realtà aziendali mi avevano lasciato addosso.
L’autore fa una fotografia perfetta della situazione nella quale siamo arrivati con l’eccessivo potere dato alle e mail in un contesto di connessione costante dove fondamentalmente ci si concentra non sul lavoro vero e proprio ma sul parlare di lavoro.
L’avvento della comunicazione gratuita (mail vs fax o chiamate a pagamento) ha trasformato completamente il flusso di lavoro definendone le attività che svolgiamo in quotidiano.
Il testo di Newport parte dal racconto di Nish Acharya, chiamato nel 2010 dal presidente Barack Obama all’incarico di responsabile dell’innovazione e dell’imprenditorialità nel suo mandato di governo.
Dopo un paio di mesi dall’inizio del suo incarico (che aveva iniziato ovviamente come politico rampante con cellulare sempre alla mano e scambio di e mail frenetico a tutte le ore) accadde una cosa piuttosto inimmaginabile: il cosiddetto martedì nero.
La rete della Casabianca rimase fuori uso per giorni e per una questione di sicurezza (temevano che si trattasse di un virus proveniente da potenza straniera) distrussero computer, portatili, stampanti ed ogni dispositivo che contenesse un chip.
Immaginate lo sgomento: noi andiamo in tilt anche quando ci manca la connessione a casa per venti minuti, pensate cosa sia potuto succedere nella sede di una delle nazioni più potenti del mondo!
Incredibilmente e forzatamente alla Casa Bianca sperimentarono così un approccio al lavoro diverso, più lento e ponderato che poi restò in auge per alcuni anni successivi.
Forse il martedì nero non fu soltanto un disastro, ma un’anteprima di come i dirigenti e gli imprenditori più innovativi organizzeranno il loro lavoro nel prossimo futuro.
Lo spero e, in alcuni casi, so che qualcuno lo sta già sperimentando.
Il cambiamento però possiamo farlo anche noi nel nostro piccolo senza aspettare la rivoluzione dall’alto.
Carl Newport introduce nel libro un concetto molto interessante riferito alla modalità di lavoro che quasi in tutte le realtà viene adottata: la mente alveare iperattiva.
Vediamo insieme la definizione: “Un flusso di lavoro incentrato su una conversazione continua alimentata da messaggi imprevisti e non strutturati, che sono veicolati tramite strumenti di comunicazione digitale come la posta elettronica e la messaggistica istantanea.”
Spostiamo l’attenzione sul nostro lavoro e non sulle comunicazioni (ovviamente anch’esse necessarie) .
Per quanto riguarda la posta elettronica, ad esempio, dobbiamo cercare di controllare i messaggi in entrata solo in alcuni momenti della giornata lavorativa, educare gli altri al fatto che risponderemo non appena ci sarà possibile (perché lavoriamo!), disattivare le notifiche ed imparare a fornire indicazioni più precise nel testo- oggetto delle mail.
Si ha purtroppo la convinzione, ci casco spesso anche io, che la comunicazione frenetica sia in qualche modo sinonimo di “essere sul pezzo” e “lavorare tanto e bene”, probabilmente un po' anche per la “sindrome dell’impostore” che alberga in noi.
In aggiunta è tipico della cultura del nostro paese sentirci in obbligo di far anche vedere che stiamo lavorando, come se fosse scontato il contrario e quindi inviamo e mail non richieste, mettiamo in copia anche chi non dovrebbe esserci ed abbiamo il terribile vizio di far tardi a lavoro molto per il gusto di “far vedere che facciamo tardi a lavoro” .
Tutt’altro, in quel caso dimostriamo proprio il contrario: che lavoriamo male o che, perlomeno, non sappiamo organizzare il nostro tempo a lavoro.
In “un mondo senza e mail” l’autore fa anche l’esempio di George Marshall, capo di stato maggiore dell’esercito americano durante la 2° guerra mondiale: nonostante il ruolo di responsabilità che aveva, sapeva delegare, praticava l’efficienza controllata, lavorava con concentrazione assoluta e riusciva a non farsi interrompere e distrarre dai tanti che lo cercavano.
Aveva un modo di organizzare e gestire le riunioni fantastico!
E.. udite udite…. lavorava ogni giorno fino alle 17.30 riuscendo a chiudere tutte le questioni, non lasciare niente in sospeso e staccare a fine giornata.
Come si fa a seguire questo esempio? Newport suggerisce di passare dalla mente alveare iperattiva al principio del capitale attentivo puntando su una migliore gestione del flusso di lavoro.
Nel testo si parla anche del principio di specializzazione: la grande ricerca storica che ha fatto l’autore è servita a porre l’attenzione su fenomeni che diamo per scontati, ma che in realtà hanno rivoluzionato il modo di lavorare.
Fa l’esempio dei professori e ricercatori universitari; proprio il padre di Newport faceva questa professione come il figlio che ha seguito poi le sue orme.
A fine carriera suo padre aveva “realizzato” molto più del figlio anche in prospettiva con gli anni in termini di pubblicazioni, ricerche e capitale intellettuale prodotto.
Ai suoi tempi aveva una segretaria che gli gestiva gli appuntamenti, il ricevimento con gli studenti, la corrispondenza e tutte le pratiche burocratiche che in quel tipo di lavoro erano all’ordine del giorno.
La nuova generazione di professori e ricercatori fa tutto da sé perché ha i mezzi per farlo: e mail, database di informazioni condivise a livello dell’Università, programmi di scrittura etc.
Se ci pensate bene difficilmente le figure manageriali (a meno che non operino a livelli molto alti) hanno un’assistente personale, al limite ci può essere una segreteria di ufficio che supporta più figure.
Ma la maggior parte del lavoro, anche solo di comunicazione, resta al manager di riferimento.
E questo gli toglie tantissimo a livello di tempo e concentrazione e sposta la sua attenzione dal lavoro al parlare di lavoro.
Non è realizzabile fare un passo indietro e di sicuro la maggior parte di noi non può chiedere o non può permettersi un segretario/a.
L’autore, quindi, aggiunge un consiglio molto pratico.
Non dobbiamo permettere alle comunicazioni ed alla parte più “amministrativo-burocratiche” del nostro lavoro di interrompere la concentrazione ed il flusso.
Sarebbe quindi consigliato dedicare un momento della mattinata o del pomeriggio alle e mail e magari un paio di ore alla settimana alle pratiche amministrative o burocratiche.
Utilizzare quindi un model calendar a supporto del nostro flusso di lavoro.
Ne parleremo il prossimo mese.
Buon Ottobre a tutti!